martedì 17 ottobre 2017

Bosco e letteratura

La letteratura occidentale ha presentato il bosco come luogo selvaggio e pericoloso, ostile e inospitale, abitato da streghe, uomini malvagi, mostri o animali feroci. Oppure, in antitesi, lo ha descritto come ultimo frammento di un antico paradiso perduto, luogo protetto, magico, rifugio della libertà o dei libertari, sede di sapienza, alcova di amanti, fonte di buoni sentimenti, Arcadia di poesia e regno della quieta natura selvatica contraposta alla ferocia distruttiva dell'uomo.

Sono atteggiamenti diversi, due visioni del mondo, due sensibilità in antitesi che possono anche coesistere nello stesso individuo. Visioni che non hanno a che fare col bosco in quanto tale, che oggi valutiamo, più oggettivamente, in termini di ecosistema, ma sono proiezioni sul bosco dell'umanità: noi umani al centro della scena e il bosco una delle tante proiezione dei nostri incubi o dei nostri sogni.

A prescindere dal nostro livello di distacco emotivo e dal nostro atteggiamento razionale o antiromantico, quando decidiamo di entrare in un bosco ponderiamo, più o meno coscientemente, una delle componenti di cui sopra. Con la prima proviamo a soddisfare quel che resta del nostro bisogno ancestrale di avventura, magari il voler superare una prova nuova per godere poi del senso di benessere che può seguirne. Con la seconda vogliamo ritrovare frustuli dell'antico mito della comunione con il resto della natura da cui abbiamo la sensazione di esserci irrimediabilmente alienati.

Una passeggiata nel bosco può essere uno dei modi per accedere alla "seconda stanza", la stanza del pensiero di John Keats (the Chamber of Maiden Thought).