lunedì 1 febbraio 2016

Purtidda! Purtidda!

Anche i montanari di Sicilia sanno che "cu avi lingua passa i muntagni", ma sanno anche qualcosa in più: per passare le montagne si devono attraversare "i purtidda", italianizzato dai topografi dell'IGM in "portelle". Da noi, 'ni nuautri' sarebbe il caso di scrivere qui, "i purtidda" col plurale in "a" del mondo ellenistico, sono le selle, i passi, le forcelle, i valichi e tutto questo genere di porte di montagna. Sono passaggi comodi per attraversare creste e rilievi che separano tra loro valli e vadduna, il posto meno faticoso per passare. Dove c'è una purtidda, che sia tale, c'è sempre almeno un sentiero, una mulattiera o una trazzera regia. Salite su una portella qualunque e le vostre possibilità si moltiplicheranno, perchè passare 'na purtidda significa uscire da un mondo per entrare in un'altro, ma finchè si sta sulla portella si hanno almeno due mondi sotto di se e, se non si sceglie per nessuno dei due, si può sempre prendere la via delle creste, verso altre portelle e altri mondi. Un tempo si passava così da un feudo all'altro, da un paese all'altro, da una vita all'altra. Dalle portelle passano i confini (finaiti), ci si poteva trovare la dogana, i briganti, e doverci pagare un pedaggio o un pizzo. Non a caso i primi socialisti siciliani dei paesi montani del palermitano scelsero una grande purtidda erbosa per radunarsi insieme tra abitanti di vallate diverse: con quel gesto, con quella presenza di popolo sul valico, abolivano di fatto secoli di confini feudali.
E allora, se vi sentite a volte costretti su un binaro, sia fisico sia metafisico, provate a salite su una portella, chissà che non vi riesca di cambiare il mondo...

Portella Bianca si trova sopra Piano Casaboli (Pioppo - Monti di Palermo), antiche trazzere la collegano alla Portella Sant’Anna che invece si trova sopra San Martino delle Scale. A Portella Sant'Anna sono presenti i resti malmessi di un'antica Torre ed una chiesa ipogeica. Un'escursione panoramica "portelle portelle", fisiche e metafisiche, sui Monti di Palermo.

giovedì 28 gennaio 2016

Calata sulla Busambra

ricordo perfettamente quella calata, la seconda, quella fatta con gli speleologi del cai tra cui io: ricordo che ero abbastanza tranquillo fino al nodo della 100. nonostante lo spit singolo e neanche piantato dritto dell'ultimo armo (one spit si battezzo' la grotta...) dopo il nodo la parete si allontanava ancora di più... sembrava il punto di non ritorno.Scendere sotto il nodo con forse 180 metri di vuoto sotto il sedere e la parete a quasi 10 metri di distanza... poi entrammo in grotta, grotta che peraltro risaliva in verticale diventando rapidamente inaccessibile. Dovrebbe esserci il rilievo da qualche parte.

Unni stati jennu a dda via?

... "Unni stati jennu a dda via?"
chiese, ad un certo punto della conversazione, l'uomo seduto sulla sedia davanti all'uscio della sua casa alla periferia del paese.
L'uomo con lo zaino, in piedi di fronte a lui, circondato da quattro o cinque come lui, provò a rispondere con lo stesso dialetto ellenistico:
"acchianamu a muntagna!".
Ma l'uomo seduto continuò:
"Chi siti cacciatura?"
"No, chi cacciatori!, ci sparassimu aei cacciaturi nuatri",
rispose l'uomo con lo zaino.
"Allura it'a cogghiri virdura? Chi cci su vurrani a st'ura?"
Chiese l'uomo seduto, sempre più incuriosito da quel gruppo di strani forestieri.
"No, mancu virdura, jamu sulu caminannu",
fu la risposta dell'uomo con lo zaino.
"Aviti armali dda n'capu?"
Chiese, giocandosi l'ultima carta, l'uomo seduto.
"No, un semu mancu pastura, un si viri ca un semu pastura? Nuautri caminamu, acchianamu i muntagni, e poi scinnemu, un cugghiemu nenti, taliamu sulu e caminamu, caminamu, jamu caminannu! ..."
L'uomo seduto lo guardò con l'aria di chi ha sorpreso un gruppo di individui sciocchi, bizzarri e perditempo e disse:
"Cci a pozzu addumannari 'na cosa, cu rispettu parrannu?".
"Parrati, chi vuliti sapiri?"
lo incoraggiò, paziente, l'uomo con lo zaino. E lui:
"Ma picchì acchianati a muntagna si poi avit'a scinniri?"
L'uomo con lo zaino sorrise e rispose con un'altra domanda:
"E vui allura? Chi cci campati a fari si poi aviti a moriri?"
E lo salutò avviandosi per il sentiero.

I Cantori del Gargano

Alla fine della scorsa estate siamo stati sul Gargano. Abbiamo attraversato a piedi paesaggi carsici, pascoli, selve ombrose, spazi ampi e lunghi percorsi, grandiosi impluvi, immensi uliveti, bellezza ed emozioni più che sufficienti per farne, già di per se, un viaggio a piedi indelebile nella memoria, ma non sarebbe stata la stessa cosa senza la musica, senza i suoni e i canti delle genti del Gargano che, ancora nella mente al mattino, dopo le serate musicali con musicisti e cantori locali, arricchivano quello stesso paesaggio, quei sentieri, ed i nostri passi, di suoni e di ritmi. Non ricordo chi lo scrisse, forse il medico francese Alfred Tomatis, ma sembra che ogni territorio condizioni la produzione musicale dei suoi abitanti. Non in termini metafisici o psicologici, che sarebbe una constatazione piuttosto banale, ma fisici, per l'interazione del territorio con le modalità di propagazione delle onde sonore. Il canto e la musica espresse dagli abitanti di una terra sarebbero dunque conseguenza di come in quel posto le onde sonore arrivano alle loro orecchie. Questo spiega forse perché certe sonorità siano nate sulle Ande piuttosto che su un'isola mediterranea e perché la musica del Gargano abbia un suo stile di fondo, per quanto possa complicare le cose il genio dei suoi musicisti.
Quest'anno ci torneremo, a settembre, e consiglio a tutti i camminatori sensibili di provare questa esperienza. Il viaggio musicale è guidato dall'artista Nando Citarella, cantautore, attore e musicista napoletano, appassionato studioso di tradizioni musicali mediterranee ed escursionista. Ovunque vada, sui sentieri del sud Italia, coinvolge i musicisti locali, li conosce bene da molti anni, ha suonato con loro. I musicisti locali sono quelli che tramandano da generazioni e custodiscono il suono della loro terra, emesso con strumenti altrettanto antichi e altrettanto locali.
Tra questi custodi troviamo i Cantori di Carpino, pochi e preziosi eredi di un'antica tradizione.
Prima di iniziare a suonare a volte si scambiano frasi come: "andiamo a Rodi" oppure "andiamo a Peschici", sono i nomi dei paesi vicini, ed ogni volta sentirete cambiare ritmo e melodia, ma è solo un modo di dire per comunicarsi cosa suonare, perché è sempre la musica di Carpino che arrivera' alle vostre orecchie. Propongono canti d'amore, di odio, di sdegno, di rabbia, oppure di festa.
Quando dicono "andiamo a Monte!", quel "Monte" sta per Monte Sant'Angelo, paese meta di antichi pellegrinaggi, legati al mito di San Michele, l'angelo guerriero con la spada, che partecipò direttamente agli assedi cristiani in "Terra Santa" così come gli dei dell'Olimpo parteciparono all'assedio di Troia nell'Iliade. Il nostro viaggio parte proprio da lì.

giovedì 16 febbraio 2012

Neviere

Le neviere dei monti palermitani erano conche artificiali scavate alle quote più alte e nei versanti più freschi più adatti all'accumulo e al mantenimento della neve invernale. Accanto ad esse era costruito, con pietra locale, un edificio detto "casa neviera", che serviva sia come ricovero degli operai durante i giorni della lavorazione, sia per la custodia degli attrezzi e del materiale di lavoro. Durante le nevicate invernali gli operai raccoglievano la neve nelle conche, la pressavano con degli appositi attrezzi in legno, costituiti da un disco piatto con un lungo manico, affinché si compattasse uniformemente e assumesse, con l'ausilio delle basse temperature notturne e delle parziali fusioni diurne, le caratteristiche del ghiaccio. Per proteggere il ghiaccio all'avanzare della stagione calda si provvedeva a coprirlo con fronde di ginestra, ddisa (Ampelodesmos mauritanicus) e paglia, allo scopo raccolte nella casa neviera. La copertura doveva evitare che la massa di ghiaccio si sciogliesse a contatto con l’esterno e con temperature atmosferiche che, cessato il breve periodo di freddo, risalgono velocemente. L’operazione di raccolta della neve poteva ripetersi più volte in base al numero di precipitazioni nevose della stagione. Con la buona stagione iniziava la richiesta da parte del mercato cittadino, il ghiaccio veniva tagliato con degli appositi spadoni, caricato sui carretti e trasportato in città dove era conservato in depositi freschi prima di essere ancora ridotto in piccoli blocchi o sminuzzato a seconda della destinazione e distribuiti al dettaglio. La possibilità di disporre in estate di ghiaccio sminuzzato favorì la produzione delle tradizionali granite.

La strage di Portella della Ginestra (1947)

Portella della Ginestra (850 m), sui Monti di Piana degli Albanesi, è il luogo della strage operata nel 1947 dalla banda Giuliano contro le persone che li tradizionalmente si radunava per festeggiare il 1°maggio. Undici morti e numerosi feriti sono stati il risultato di un attacco con la mitragliatrice agli abitanti dei paesi di Piana, San Giuseppe e San Cipirrello, radunati a Portella per la Festa dei lavoratori da pochi anni di nuovo permessa dopo la fine del fascismo. Il contesto storico è la forte ripresa della lotta dei contadini poveri e dei braccianti per ottenere la riforma agraria, la divisione dei latifondi e delle terre coltivabili. Gli agrari (proprietari di latifondo) e i mafiosi, che vedevano minacciato il loro ruolo dall'occupazione delle terre e dal successo dei socialisti e dei comunisti alle prime elezioni del dopoguerra, affrontarono il movimento contadino con metodi terroristici. La strage di Portella, l'omicidio di diversi sindacalisti (Rizzotto, Li Puma, Cangelosi) e attentati intimidatori alle sedi di cooperative e partiti di sinistra, fecero parte di questa strategia che avrebbe dovuto spegnere le rivendicazioni dei braccianti e interrompere l'occupazione delle terre. A Portella la banda del bandito Giuliano dimostrò, proprio in quell'occasione, di stare dalla parte degli agrari e della mafia. Vedi anche qui

lunedì 1 agosto 2011

Scempio edilizio Pergole - Monterosso (AG) Sicilia



Ovunque cantieri aperti e terreni in vendita con progetto approvato, se continua così gli ultimissimi lembi di macchia mediterranea saranno distrutti e le possibilità di percorrere a piedi il territorio saranno ridotte